Era il primo bacio

Tutto il giorno in attesa di stringerti, di abbracciarti, di riposarmi. Era il primo bacio quello sulla macchina. E tutte le paure, le angosce e le tristezze sono scomparse in un attimo.
Eri in macchina accanto a me. Dovevamo per forza metterci in gioco, almeno io dovevo mettermi in gioco, dovevo darti la mia vita.
La sera calda, forse afosa ma non troppo per non riuscire a percepire un minimo di freschezza. Le strade illuminate di giallo, il via vai della gente stanca, rinchiusa in se stessa, il desiderio di non interrompere quell’incantesimo, le tremule insegne dei negozi, qualche prostituta nei viali.
Eri vicino a me e non avevo timore, non dovevo immolarmi, non dovevo perpetuare il solito gioco autolesionista. Mi volevi bene e lo capivo guardandoti. Lo percepivo dal tuo volto liscio, dal sorriso caldo, dalle ciocche di capelli trattenute dal gel. Dalla gentilezza, dalle lievi forme spigolose della faccia. E anch’io te ne volevo se non fosse per tutta quella irrequietezza che mi faceva fremere di un piacere gentile. Avevamo consumato una cena modesta in un ristorantino nelle vicinanze di piazzale Piemonte. Erano ormai finite le parole, i giochi delle parti. Non dovevo più recitare, dovevo mettermi a nudo e donarti la mia anima. Eravamo noi vicini ed eravamo nei viali della Milano di un’estate ormai giunta al termine. Ti guardavo, ti sostenevo, dovevo giustificarti la mia vita, avrei dovuto usare mille parole, ma ho risolto il tutto con pochissime parole, non era mai successa una cosa del genere.
Dovevo analizzarmi, dovevo trovare le parole più appropriate per raccontarti di me, e invece le mie parole sono state brevi, concise, semplici. Era la tua persona che mi metteva a mio agio, che mi lasciava l’umiltà di versare lacrime che non sarebbero mai scese in altre situazioni, bloccate da un orgoglio fottuto. Mi hai ascoltato assaporando tutta l’amarezza che intanto si liberava come un vapore malefico che riusciva a prendere il suo corso per le vie di Milano, l’amarezza di un’anima che non ha mai trovato un’identità. Mi ascoltavi con la musica che usciva incurante delle nostre sofferenze e che permeava quello spazio rimanente tra me e te e le parole e le lacrime. Tutto in quell’auto trovava adeguata espressione, riempiva l’abitacolo non lasciando che il vuoto ci catturasse.
C’era il tuo calore, il profumo imbrigliato nella trama di un maglione morbido, c’era la calda entalpia di un amore che stava per sbocciare, c’era l’armonia dell’universo che concorreva alla nostra felicità, la triste gioia di essere veramente vicini dopo tutta un’insofferenza che non lasciava liberi di muoverci. C’era tutta la Milano con le sue circonvallazioni, le strade larghe con i controviali e le ambulanze.
Il nostro gioco era iniziato, dovevamo solamente tirare i dadi delle nostre possibilità di vita e danzare e ballare tutta la notte e avanzare di tutte le caselle possibili e non fermarci, tra lacrime, sorrisi, risa isteriche, frasi a bassissima voce per non disturbare quella languida armonia. Il gioco della nostra e unica felicità di istanti e istantanee e fotogrammi.
Era il primo bacio, mi sono avvicinato e ho appoggiato le labbra sulla tua guancia. Un bacio di calore, un bacio d’amore, un fremito che precorreva tutto il corpo ci ha trafitti in quella leggera atmosfera. Era il mio ed era il tuo amore, era l’amore della città, era l’amore di vita a riscatto di un’unica sofferenza. Il bacio di un’intesa, di un accordo. La rivincita sui diseredati, sulle cieche viscere della terra, sull’oppresso, sul pianto inconsolabile, sulle puttane. Era il mio bacio, era tuo il bacio e la musica scandiva il tempo del silenzio delle parole che si sarebbero potute dire e di quelle taciute. La musica soprattutto e il bacio. La casella di gioco ci invitava ad avanzare di altre tre e quattro e cinque e così di un numero sempre più crescente. Primo premio il fremito nel sesso e nel cuore, secondo premio la gioia di possedere un’anima partecipe al pianto. Essere partecipe di un profondo respiro che mi piegava, che addolciva il mio temperamento, che mi faceva sentire meno solo, meno insofferente. Il tuo bacio, il bacio del riscatto di biechi egoismi, di pericolosi giochi che potevano difendermi da aggressioni esterne. Non sapevo come dartelo, ho bloccato la macchina, ti ho aperto le braccia e ti ho detto che ti avrei dato un bacio. E tu prontamente mi hai teso le braccia. Hai sfiorato con le dita le mie spalle e la tua guancia contro quel principio di barba che ti rendeva così virile, si è lasciata toccare dalle mie labbra. Il gioco, l’amore, la paura, l’insicurezza di anni passati nella più nera paura in un ritmo sempre più frenetico. Il cuore, quel cuore a tachicardie vertiginose, mi lasciava al limite del collasso. Ti toccavo, entravo nel tuo mondo. Ma ti amavo, mi sentivo fragile perché non era solo un corpo che toccavo ma era un’esperienza di vita che si offriva, che si donava, che mi amava. E io ero fragile perché con quelle pochissime parole mi ero messo di fronte alla mia nudità di uomo ormai giunto ad un senso unico privo di speranze. Le lacrime copiose scendevano offuscando tutto intorno, il sesso in tensione ma non eccitato. Tutto era in armonia in quel piccolo spazio, in quel respiro di città per l’occasione discreta. In quel bacio, ci siamo detti tutto quanto c’era da dire, ci siamo completati a vicenda per rendere ancor più vivida la sensazione d’amore che ormai permeava le nostre esistenze. Ed è stato un attimo, poco tempo, giusto il tempo del bacio, giusto il tempo di avanzare, allungare, sfiorare con le labbra e baciare. E la Milano partecipava silenziosa al nostro amplesso, tratteneva il respiro per non disturbarci per essere il più possibile discreta.
Tu mi eri accanto, mi parlavi in modo discreto. Hai accettato il bacio e me l’hai restituito con candore, con estrema semplicità. Non poteva che essere così.